“LA MECCANICA DEL CUORE” – MATHIAS MALZIEU

Dopo aver recensito un classico della letteratura novecentesca, oggi vi dico la mia su qualcosa di più commerciale, un prodotto di questi nostri anni Duemila: “La meccanica del cuore”, dello scrittore francese Mathias Malzieu. Il romanzo, uscito nelle librerie italiane nel 2007, è arrivato da noi cinque anni dopo (non che – lo dico a posteriori – saremmo morti di impazienza se avessero aspettato un altro po’).

Partiamo col dire che il libro ha una copertina molto carina, se non furba, in grado di approfittare anche dei momenti di debolezza psicologica di noi esseri solitamente cinici e burberi che, delusi dall’amore, di questi cincischiamenti romantici solitamente non sapremmo che farcene in giorni di pieno e assoluto possesso delle nostre facoltà mentali. Ma divago! Vediamo in breve di cosa si parla in queste 147 pagine.

La storia è narrata in prima persona da Jack, un ragazzo a dir poco bizzarro visto che, al momento della sua nascita a Edimburgo, nel giorno più freddo del 1874, la levatrice Madeleine si accorge di come egli abbia il cuore completamente ghiacciato. Ma, essendo donna dalle mille risorse (da molti suoi concittadini ritenuta persino una strega), lei non si perde d’animo e salva il bambino installandogli un orologio a cucù per aiutare il suo cuore difettoso a battere regolarmente. La giovanissima madre del pargolo, dopo averlo dato alla luce, scompare nel nulla senza tanti complimenti e ciao-ciao-baby-veditela-da-solo. Madeleine, allora, che figli propri non ne ha, decide di tenere con sé il piccolo, insegnandogli a tenersi lontano da emozioni troppo forti, che il suo cuore difettoso non sarebbe in grado di reggere. Tutto inutile, quando il protagonista riesce a ottenere dalla sua mamma adottiva il permesso di frequentare la scuola, a 10 anni fa il primo incontro col sentimento più forte di tutti: l’AMORE ovviamente! Di chi si innamora, chiedete? Di una piccola cantante Andalusa, Miss Acacia, dai grandissimi occhi verdi, molto belli, ma bisognosi di spesse lenti per funzionare a regime, occhiali che puntualmente la ragazzina non indossa, finendo per andare a sbattere di qua e di là come una trottola impazzita. Per coronare il suo sogno d’amore Jack viaggerà fino in Spagna, a Granada, dove scoprirà vivere la sua amata. Ma la passione è anche dolore, come lui e voi imparerete leggendo il libro (come se non lo aveste già scoperto a vostre spese, dico bene!?).

Carino, vero? Vi ho messo voglia di leggerlo, eh? Perché so scrivere bene! E se per i film basta creare un trailer figo scegliendo ad arte le scene più visivamente d’impatto, al fine di ingannare il potenziale spettatore e incitarlo a mettersi in fila al botteghino per fare i biglietti, per i libri funziona in modo simile: è sufficiente saper scrivere in modo accattivante la quarta di copertina per far apparire come una meraviglia un libro che, in realtà, sarebbe dimenticabilissimo. Ed è il caso, ahimè, del “romanzetto” di Malzieu.

Le premesse sarebbero ottime, il potenziale della storia c’è, l’idea non è male sebbene non brilli più di tanto per originalità; tuttavia le atmosfere burtoniane piacciono sempre, le storie tragicomiche di personaggi un po’ sfortunati e bislacchi, che tra mille peripezie cercano di farsi strada nel mondo inseguendo un obiettivo, circondati da una nutrita schiera di personaggi anch’essi non proprio usuali (vedi Arthur; le prostitute Anna e Luna che, forti della loro grande esperienza amorosa, abbozzano l’educazione sentimentale del giovane e inesperto protagonista; Georges Méliès, realmente esistito, illusionista francese e padre del cinema insieme ai Lumière, ecc.), di solito attirano le simpatie dei lettori, che si ritrovano nelle piccole sventure dei protagonisti, entrandoci in empatia e tifando persino per loro. Come in “Edward Mani di Forbice”, “La sposa cadavere”, “Nightmare before Christmas” e altre storie del genere, i contrasti fra luci e ombre sono tanti, l’alternanza fra un registro narrativo fanciullesco e favolistico e uno più cupo, quasi gotico e grottesco, è perenne e contribuisce a creare il loro fascino.

Ma con “La meccanica del cuore” ciò non basta. Innanzitutto, vi sono nel libro una serie di incoerenze temporali; ad esempio, la voce narrante – che, lo ricordiamo, è quella del protagonista Jack – cita alcuni personaggi realmente esistiti, tipo Dalida e Charles Bronson, i quali ai tempi della narrazione (gli ultimi decenni del XIX secolo) non erano neanche lontanamente in procinto di vedere i propri natali… E questo provoca uno sfasamento temporale sgradevolissimo, che distrugge la tenuta interna del contesto in cui è calata la storia. È come se Victor Hugo, narrando le vicende medievali di Quasimodo ed Esmeralda in “Notre-Dame de Paris”, si fosse messo a citare Robespierre o Napoleone Bonaparte che sarebbero arrivati a far danni nel mondo svariati secoli dopo! In parole povere, poverissime, come cavolo fa il piccolo Jack a conoscere Dalida se non è ancora nata??? Malzieu è davvero così ingenuo da non sapere che questo è un errore fra i più gravi che uno scrittore possa commettere? Perché non ci sono altre spiegazioni per giustificare una svista del genere: se la sua voleva essere una nota divertente non lo è, per i succitati motivi. Il personaggio deve essere calato nel suo tempo; se proprio vogliamo, voli pindarici di questo tipo può permetterseli un narratore onnisciente, impersonale ed esterno alla vicenda, che alle normali regole di noi comuni mortali non è sottoposto.

Vi è poi una strisciante e persistente ambiguità nella scrittura dell’autore francese che nella descrizione di alcune scene fa pensare all’osceno, specie quando parlando della lancetta dell’orologio a cucù del protagonista pare invece alludere al suo “pene”… Sì, ho detto pene. E anche qui non va bene: perché se il tono è favolistico e innocente va mantenuto così. L’estrema malizia, poi, stona con l’età dei protagonisti, poco più che bambini. Non sono un talebano, sia chiaro (e chi mi conosce potrebbe testimoniarlo, sebbene il barbone nero possa trarre effettivamente in inganno), ma l’effetto ottenuto è di un’incoerenza vistosa.

Non so, penso che l’autore non avesse ben chiare le idee in merito a ciò che voleva scrivere. L’epilogo è commovente, un po’ sospeso (e questo, a seconda dei gusti, può anche essere terribilmente seccante) e se si è in fase di umore calante potrebbe anche strapparvi una lacrimuccia di malinconia; ma questo non è un buon libro. Mi sembra frettoloso, indeciso su ciò che vuol essere: una storia d’amore vecchia come il mondo ma dotata di una propria originalità, un divertissement letterario, una lunga barzelletta o una piccola tragicommedia del XIX secolo? Potrebbe essere tutto questo, ma per fare un buon frullato bisogna saper dosare nella giusta misura tutti gli ingredienti; questo romanzo, invece, mi sembra una coperta piena di toppe cucite male, proprio come il vecchio orologio legnoso a cucù malamente appiccicato al cuore difettoso di Jack.

Voto sintetico per lettori pigri: ♦ ◊ ◊ ◊ ◊

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