Ricordi di una Valle che resiste – di Elisa Taverna

Di Elisa Taverna

Il mio primo ricordo legato al Movimento No Tav è di un’autostrada piena di gente, una giornata invernale con un sole insolitamente clemente e il mio fratellino di cinque o sei anni che mi trotta di fianco. Ricordo la musica, i ragazzi sorridere, ballare, scambiarsi una bottiglia di birra. Quell’aria di festa leggera, improvvisata e spontanea. Non c’era polizia, non c’erano carabinieri. Era una lunga passeggiata su un percorso inusuale.
Non so che cosa sia cambiato: quando si vive immersi in una realtà non ci si rende conto, se non a posteriori, di ciò che lentamente muta tutto intorno. Un po’ come la rana nella pentola sul fuoco. Rosoliamo tutti e non ce ne accorgiamo.

Sono su un’altra autostrada. Ho forse vent’anni o poco più. Fa freddo, come al solito. Stiamo bloccando l’uscita di Chianocco. Nella folla intravedo un ragazzo con cui andavo all’università, mi avvicino, lo saluto. L’aria tesa, nessuno abbassa la guardia. Basta un secondo, la polizia comincia a caricare. L’idrante piazzato sull’autostrada spara acqua gelata. Volano lacrimogeni sui tetti delle case. Mi pizzicano gli occhi e la gola, penso “Ah beh, non danno poi così fastidio”. Che rana sciocca.
Quella fu la prima volta in cui ebbi veramente paura. La gente scappava ed io ero sola, non trovavo il mio ragazzo, né i miei genitori. C’era tanta gente. L’autopompa con l’idrante seguiva i manifestanti dentro il centro del paese, Bussoleno. Vetrine rotte, porte sfondate. Tutta colpa dei No Tav.
Più o meno in quel periodo un ragazzo che un tempo conoscevo mi scrisse un sms: “Devo andare a Bardonecchia. L’autostrada è libera? O state di nuovo facendo casino?”. Forse cominciavo ad accorgermi che l’acqua attorno a me si stava scaldando. Al liceo insultai un adulto, non ricordo esattamente che carica occupasse, mentre trasmettevamo con Radio di Istituto presso un emittente locale, Radio Dora, credo. Era un dibattito sul TAV, Tutta colpa dei No Tav. Stavo cominciando a perdere la pazienza.

A volte evito di dire che sono valsusina. Meglio dire “di Torino”, fa figo e non impegna. Se sono sfortunata qualcuno mi chiede del Treno ed io mi infervoro, magari alzo la voce, sudo e stringo i pugni. Poi mi faccio tenerezza. È difficile trasmettere un amore così grande per un territorio così piccolo, per una Valle lunga neanche 100 km, mangiata dalle strade, dalla ferrovia e dalle fabbriche. Un corridoio angusto spazzato dal vento e con un pessimo clima. È difficile.
Non ho mai sentito una vera appartenenza a nessun posto. Non sono valsusina di nascita, i miei genitori sì. Sono nata a Torino, cresciuta in prima cintura e ho affrontato l’adolescenza e l’età adulta in Alta Valle. Ma io le appartengo. È l’unico posto che chiamo casa e l’unico in cui so che invecchierò, o almeno spero.
La Val di Susa ha una storia gagliarda, se volete saperne di più vi consiglio il libro di Wu Ming: “No Tav, un viaggio che non promettiamo breve”, un’opera mastodontica sulla Val di Susa e le dinamiche che hanno portato alla nascita di un movimento unico ed irripetibile.
Sono orgogliosa di essere valsusina.

Per darvi un esempio della forza di questo popolo vi racconterò, per concludere, il mio ricordo più bello, e al contempo più doloroso: La Libera Repubblica della Maddalena.

Molto vicino a dove adesso sorge il cantiere (Chiomonte), sul cucuzzolo di un monticello dove un tempo riposavano antichi e importanti resti celtici (tombe e corredi funerari) – oggi tutto distrutto e adibito a parcheggio per i mezzi del cantiere e delle forze dell’ordine – fu fondata, nel 2011, la Libera Repubblica della Maddalena. Non starò a spiegarvi come nacque, le migliaia di persone che acquistarono piccoli lotti di terra, l’organizzazione, l’impiego di risorse umane e finanziarie (c’è Wu Ming per questo), ma vi dirò che cos’era, almeno per una ragazzina.
Era una parentesi di gioia. Un’oasi di tranquillità. Un rifugio. Persone che si alternavano notte dopo notte per tenere occupato e vivo quel fazzoletto di terra. Tende, macchine, camper e sacchi a pelo. C’era un palco su cui si alternavano concerti, dibattiti e chiacchierate. La cucina sfornava pranzi per tutti e univa le persone sotto un grande tendone. Era una grande famiglia.
Durò poco. Una mattina di giugno arrivarono le forze dell’ordine. Non ci colsero di sorpresa, sapevamo che sarebbero arrivate. Con le ruspe abbatterono le barricate e con gli idranti, dall’autostrada, dispersero la folla. Poi lacrimogeni lanciati nel bosco, sulle foglie secche, piccoli incendi. Gente terrorizzata, la fuga.
Respirare i gas lacrimogeni è un’esperienza che non auguro a nessuno. Soffochi, letteralmente. Gli occhi ti vanno a fuoco e l’ossigeno rimane imprigionato nel fumo e ti senti mancare. Ho visto gente vomitare, altra svenire. Altro che “pizzica solo un po’”. C’è un motivo se i gas CS sono vietati in guerra da numerosi accordi internazionali.
In guerra no, sulla gente sì.
Mia madre, mio padre ed io tornammo a recuperare le tende, ci chiesero i documenti. Gli uomini in divisa erano stanchi e arrabbiati.
Ricordo una ragazza che terrorizzata si unì a noi. Aveva paura della reazione dei carabinieri e della polizia, ma nella tenda aveva lasciato tutte le sue cose, la sua vita. “Non ti preoccupare” ripeteva mia mamma “Sei con noi”.

Quella mattina sono saltata fuori dalla pentola in cui l’acqua aveva iniziato a bollire. Sono atterrata sul duro, mi sono sbucciata le zampe, ma ero salva.
La Lotta No Tav mi ha insegnato l’orgoglio di appartenere a un qualcosa di più grande e la forza che ne deriva. Ad aprire gli occhi e a non dare sempre tutto per scontato. A non pensare che un’idea, solo perché calata dall’alto, sia giusta. Ad ascoltare l’opinione di chi viene additato e screditato. A credere nell’altro e a fidarmi del prossimo. Ad aprire gli occhi, ad avere coscienza di ciò che accade e a saltare fuori dall’acqua bollente.

Oulx, 17.10.17

Elisa Taverna nasce nel 1991 a Torino. A quattordici anni lascia la pianura per trasferirsi insieme alla sua famiglia in un piccolo paese dell’Alta Valle di Susa, dove frequenta il Liceo.  Si laurea in Lingue presso l’Università di Torino, viaggia e sperimenta lunghi periodi di studio all’estero. Ad oggi sta per concludere la specializzazione in Scienze politiche presso l’Alma Mater di Bologna, indecisa se temporeggiare ancora o affrontare il mondo in cerca di un impiego.

 

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