Cosa significa oggi la parola”verità” ?

 

Si vive in un’epoca di domande che hanno sete di verità. Assistiamo ad una crisi, che da fenomeno d’identità personale, ha avviato la sua trasformazione in una voragine di razionalità. La diffidenza non è mai stata così grande, forte, durevole nel tempo e fra culture – apparentemente – diverse fra loro. Questo perché l’impressione di essere stati ingannati, aggirati in maniera magistrale, da ciò che riconosciamo come “potere” ha preso il sopravvento sulla nostra analisi critica dei fatti.

L’oggettività ha fatto spazio ai paradossi. Eppure io vedo che la gente, intorno a me, anela la verità. La desidera, vorrebbe comprenderne le specifiche e gli elementi caratterizzanti. Forse la loro ricerca non è diretta al vero come valore intrinseco. Magari la sua aspirazione primaria è di a toccare con mano ciò che si riconosce con le parole ‘felicità’, ‘libertà’, ‘conoscenza’…

Non mi è chiaro quale concetto di verità la gente respinga, a partire dalle sue azioni e correlazioni logiche (o meno). Ma del resto, come si fa a spianare la strada al proprio giudizio, fra le tante verità prevedibili di politiche che mantengono in atto eguali strategie (a oltranza!). Vivo in una città dove le polemiche sono all’ordine del giorno, a partire da ogni spazio, ogni ambiente, in cui il tempo dell’orologio lascia un segno… Basta farci caso, e ci si accorge che il nutrimento della gente è il vittimismo. Si è prigionieri, ingiustamente, di un establishment dal quale non si riesce a uscire.

Il problema vero, a mio parere, sta nel non giustificare le proprie affermazioni. Vale a dire la presenza di una consapevolezza del “materiale” che gli interlocutori sono capaci di mettere in linea nel loro discorso. Che sia ora o nel in passato, poco importa. Qualcuno potrebbe pensare che l’atto di giustificare non sia altro se non un becero tentativo di riduzionismo. Eppure non si può omettere neanche il fatto che rappresentazione e intenzionalità, per dialogare, devono trovare una territorio in comune dove le relazioni causali possono essere inquadrate; e di conseguenza trasferibili.

Credo che il concetto di verità meriti quindi più spazio. Dovrebbe essere uno scopo di ricerca, un valore da difendere anche solo per colui che si spinge a tuffarsi nella sua analisi. Magari riuscendo a separare, in modo netto, quella che è la tesi concettuale secondo cui la verità è una norma costitutiva (all’interno del trittico asserzione-credenza-verità), dalla tesi etica che la innalza a valore intrinseco da rispettare al di là di un’analisi circostanziale, fino alla tesi epistemologica che la definisce scopo della ricerca. Tutto sta nell’atteggiamento che ci si trova ad adottare, in quanto molte volte non si è neanche dotati di una scelta…Resta evidente che nostra comunità stia desiderando una figurazione particolare di verità, saltando i passaggi intermedi che permetterebbero di descriverne pienamente le virtù e la pertinenza con i fatti.

Quindi, continuo a pormi questa domanda, perché si continua a volere la verità seguendo schemi e comportamenti prevedibili, spesso lontani dai problemi reali che hanno un’incidenza sulla nostra quotidianità?

La verità deve – e può – essere rimessa in discussione per favorire la ricerca del suo senso, dei fondamenti che la distinguono da un’interpretazione particolare e distaccata dal reale. Ovviamente, questo è possibile a patto che vi sia una descrizione più chiara dei concetti capaci di chiarirne la posizione, e il grado di utilità sociale della sua argomentazione.

Si ha la responsabilità di farlo, per promuovere virtù invece che omissioni…

 

LH

 

 

 

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