1 gennaio 2009
Non che Muriel sia meglio o peggio di queste ragazze, e nemmeno il suo corpo era più bello, soprattutto se paragonato a quello della segretaria privata di Robert Kennedy. Muriel, la scomoda Muriel, era un testimone interessato della mia vita e, anche se ogni interesse è ambiguo e all’interesse di possedere soggiace il substrato della distruzione, il possesso scalda come una coperta vecchia, ma piena della vitalità di una lana conosciuta, adattata alla pelle nuda come una tiepida patria.Mantenere l’unità di una coppia è un esercizio artificiale, eppure conosco pochissimi esercizi rigorosamente naturali: mangiare, orinare, cacare, dormire e, forse, fornicare, anche se questo atto mi appare sempre più culturale. Sì, è un esercizio artificiale che abbisogna del continuo calcolo delle perdite e dei guadagni. Su questo precario equilibrio è possibile una vita in comune, perfino durevole. Ma talvolta, e soprattutto quando oppressi dalle circostanze esterne, si perde l’equilibrio e si rimane indietro come quel ciclista che vede distaccarsi il primo della fila, quello che tira. E succede che non si recuperi mai la distanza e ci si ritrovi sempre più distanti da una situazione passata.Forse ritorno sempre all’immagine spezzata di Muriel perché sono colto dall’angoscia del ciclista che pedala solo e con la sensazione di non poter più vincere la gara, e nessun’altra gara, così come non potrà abbandonare quella corsa che non può vincere. E’ molto complicato sostituire certe convinzioni esistenziali con altre e, in definitiva, questa sostituzione si rivela sempre assurda perché la vita, ci ho pensato parecchio, è una continuità di mosse fallite.
Manuel Vázquez Montalbán
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